Tutte le domande (e risposte) frequenti sulla Talassemia.
Le talassemie sono un gruppo di disturbi ereditari dovuti ad alterazioni nella sintesi dei componenti di una molecola chiamata emoglobina. L’emoglobina è una grossa proteina contenuta nei globuli rossi, la cui funzione è quella di catturare l’ossigeno dai polmoni e trasportarlo nei diversi tessuti. L’emoglobina raccoglie anche l’anidride carbonica prodotta nei tessuti e la trasporta ai polmoni, dove viene eliminata. La proteina dell’emoglobina è costituita a sua volta da quattro catene proteiche più piccole (sub-unità). Negli adulti ogni molecola di emoglobina contiene due subunità dette di tipo alfa e due subunità dette di tipo beta.
Le beta talassemie sono un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la sintesi difettosa delle catene beta dell’emoglobina. A causa della produzione difettosa di catene beta, le catene alfa si uniscono fra loro e formano degli aggregati che danneggiano la membrana del globulo rosso. Ne deriva la distruzione precoce dei precursori dei globuli rossi nel midollo (una condizione detta eritropoiesi inefficace) e, in misura minore, la loro distruzione nella milza (emolisi).
Il gene che codifica per la beta globina è localizzato sul cromosoma 11. Si conoscono più di 150 alterazioni di questo gene che causano una beta talassemia. -Quando entrambe le copie (materna e paterna) del gene sono difettose (una condizione detta omozigosi), si può avere talassemia major (con un quadro clinico più grave) oppure talassemia intermedia (una forma più lieve di talassemia). -Le persone che possiedono una sola copia alterata del gene sono dette eterozigoti, e in genere non presentano alcun sintomo, o sintomi molto lievi. Queste persone sono in genere i portatori sani della malattia.
Quando entrambe le coppie (materna e paterna) del gene sono difettose si ha la talassemia major, o morbo di Cooley, che si manifesta verso il quarto-sesto mese di vita. L’assenza totale delle catene beta porta ad una grave anemia e a modificazioni scheletriche – perché il midollo osseo, dove vengono prodotti i globuli rossi, aumenta di volume per cercare id compensare la perdita. I globuli rossi che vengono prodotti sono però poveri di emoglobina e vengono presto distrutti, causando ingrossamento della milza (splenomegalia). Se non viene curata, la talassemia major può portare alla morte fra i 3 e i 6 anni di vita.
La talassemia intermedia è una forma attenuata di talassemia, che si manifesta in modo estremamente variabile in individui omozigoti. I sintomi più tipici sono anemia, ingrossamento della milza (splenomegalia) e calcolosi biliare. Le ragioni per cui alcuni individui omozigoti manifestano la talassemia major ed alcuni la talassemia intermedia sono diverse. Una ragione può essere il tipo di alterazione genetica (ne esistono più di 150), un’altra è la presenza di altre condizioni genetiche che limitano i danni della talassemia.
Oltre ai sintomi, il medico baserà la sua diagnosi su una serie di gli esami che comprendono la determinazione della quantità e del tipo di emoglobine presenti, e del numero e del volume di globuli rossi, che permettono tra l’altro di distinguere la talassemia beta dalla talassemia alfa.
La terapia classica per talassemia major consiste in ripetute trasfusioni. Queste, però, provocano un’accumulo di ferro nel sangue, che bisogna eliminare con una terapia a base di farmaci detti chelanti, che sequestrano il ferro, come la deferoxamina B, e che costringono a lunghe e ripetute infusioni (fino a 12 ore al giorno). E’ in fase sperimentale un sistema di infusione senza l’uso di aghi, che dovrebbe rendere questa procedura meno pesante. Oggi esiste anche un chelante orale (diferipone) che sembra dare risultati promettenti. Il trapianto di midollo, attualmente, è l’unica cura che può portare alla guarigione definitiva per le persone affette da talassemia major. Per la talassemia intermedia, il trattamento con un farmaco chiamato idrossiurea, sperimentato di recente, ha dato risultati positivi, ed è oggi utilizzato dagli specialisti. L’idrossiurea ha effetti collaterali anche gravi, e solo uno specialista pratico di AF potrà decidere le modalità del trattamento. È stato tentato l’uso di questo farmaco per curare anche la talassemia major, ma i risultati sono stati deludenti.
Il problema maggiore del trapianto di midollo è la necessità di donatori compatibili, di solito fratelli del paziente. Inoltre, fino a qualche tempo fa il trapianto comportava un’elevata mortalità. In tempi recenti, grazie ad un protocollo messo a punto all’ospedale S. Salvatore di Pesaro dal professor Guido Lucarelli, il trapianto di midollo ha dato risultati molto promettenti. Le probabilità di trovare un donatore compatibile restano comunque limitate, anche se potrebbero aumentare se più persone si rendessero disponibili per la donazione. In Italia i donatori di midollo vengono iscritti in un’apposita banca dati, per facilitare l’identificazione di donatori compatibili.
La talassemia major si può manifestare nei figli solo se entrambi i genitori sono affetti da beta talassemia o sono eterozigoti. Per i figli di genitori eterozigoti esiste 1 probabilità su 4 di essere affetto da talassemia beta, e 1 probabilità su 2 di nascere eterozigote. A chi si possono rivolgere le coppie di genitori che temono di trasmettere la malattia ai figli? Per le coppie in cui uno dei partner appartenga ad una famiglia a rischio, la visita presso un consulente genetico è indispensabile per valutare le possibilità di dare alla luce figli affetti dalla malattia.
Sì. Con appositi test biochimici o tramite l’analisi del DNA (che si effettuano da un prelievo di sangue)è possibile identificare gli individui eterozigoti, anche se non presentano alcun sintomo. Nelle popolazioni di origine meridionale, insulare e del delta padano, e specialmente in Sardegna, data l’elevata frequenza della malattia, si pratica uno screening di massa, preferibilmente prematrimoniale, per individuare i portatori, a cui deve seguire una consulenza genetica. E’ possibile la diagnosi prenatale? Sì. La diagnosi prenatale è possibile e si fonda sull’identificazione diretta di mutazioni nel DNA fetale di gravidanze a rischio.
Si tratta di una tecnica molto usata nei laboratori per l’analisi delle proteine. In questo caso viene usata per identificare i diversi tipi di emoglobine presenti nel sangue.
La ferritina rappresenta la principale proteina di deposito del ferro. In condizioni normali viene secreta in circolo mantenendo una correlazione logaritmica con i depositi di ferro. In caso di sovraccarico severo, tale correlazione non si mantiene. Vari fattori quali emolisi, infiammazione, livello plasmatico di vitamina C, epatopatia, infezioni possono influire sui livelli sierici di ferritina, limitandone l’importanza per la diagnosi e il follow up delle condizioni di accumulo.
La biopsia epatica attualmente è il sistema ragionevolmente sicuro ed accurato per la determinazione della severità dell’accumulo di ferro. Nonostante sia considerata la tecnica di riferimento, la misurazione del ferro epatico su campione bioptico ha mostrato una grande variabilità, particolarmente quando eseguita su campioni di peso inferiore a 0,4 g peso secco o in presenza di cirrosi.
Si tratta di una metodica innocua che misura direttamente le proprietà magnetiche di ferritina ed emosiderina non venendo influenzata da altri fattori. Viene valutata la concentrazione del ferro su una porzione di organo, non periferica ma centrale, circa 10.000 volte più grande di quella valutabile tramite biopsia. L’alta specializzazione e i costi elevati hanno fatto sì che solo due Biomagnetometri siano stati costruiti e resi operativi negli ultimi 10 anni, a Cleveland (Stati Uniti) e ad Amburgo (Germania). Dal 1989 ad oggi, presso l’università di Amburgo, con il secondo prototipo della macchina (Bti Ferritometer®, San Diego, California), sono stati valutati più di 1400 pazienti. I risultati hanno dimostrato la semplicità, l’ampio spettro di applicazioni e la precisione del metodo. Dal 2000 è operativo il Biomagnetometro SQUID di Torino con cui sono stati valutati più di 2500 pazienti. Questo sistema rappresenta la “nuova generazione” di biosuscettometri grazie al miglioramento di alcune caratteristiche tecniche (struttura del dewar, design della bobina di magnetizzazione, dimensioni della borsa dell’acqua, avanzamento del software…) che, oltre a migliorare l’accuratezza e la precisione delle misurazioni, estendono l’applicabilità della metodica anche a bambini molto piccoli.
L’MRI è considerata una tecnica promettente per la misura non invasiva del ferro epatico ma attualmente non è in grado di fornire valutazioni quantitative sufficientemente precise.